19 Mar I CONSIGLI PSICOLOGICI E PEDAGOGICI di UPPA (Un pediatra per amico)
- Il bambino e le sue emozioni…
- Di cosa hanno paura i bambini?
- Il dolore come spia del disagio
- Bambini liberi di esprimersi
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Il bambino e le sue emozioni…
Cosa possono fare i genitori per favorire lo sviluppo emotivo del bambino nei primi anni di vita
Durante i primi tre anni di vita si gettano le basi per la costruzione delle competenze emotive, cioè la capacità di riconoscere, esprimere e gestire le proprie e le altrui emozioni, di provare empatia e avere fiducia in sé stessi e negli altri.
Le emozioni del neonato
Anche un neonato è capace di comunicare: lo fa attraverso il comportamento, con cui esprime le proprie emozioni (disagio, stanchezza, piacere, rilassatezza, benessere), ma ha bisogno della risposta e della presenza dell’adulto per poter gestire e organizzare adeguatamente le sue azioni, come il sonno, la veglia e il pianto.
Educazione emotiva
Lo sviluppo affettivo avviene per ciascun bambino in maniera unica e diversa, anche perché ogni bambino possiede specifiche caratteristiche di temperamento che influenzano il suo modo di sperimentare il mondo. I genitori possono fare tanto per avviare un buon processo di educazione emotiva, attraverso l’esempio, l’ascolto, la comprensione e l’empatia.
Sperimentare per crescere
Nel tempo il bambino imparerà a fare sue e a generalizzare queste esperienze, in modo da sviluppare un senso di fiducia e sicurezza in sé stesso che successivamente gli permetterà di affrontare le diverse situazioni della vita.
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Il dolore come spia del disagio
Spesso il dolore fisico è uno specchio delle tensioni interne del bambino. Come capirlo
Quali meccanismi regolano le nostre sensazioni di piacere e dolore? E come nascono i disturbi psicosomatici? Quello tra psiche e corpo è un rapporto complesso e spesso il bambino usa il corpo per esprimere le sue richieste di aiuto, di attenzione e di sostegno.
Bambini ed emozioni spiacevoli
Il dolore può essere una spia del nostro disagio, di uno stato di stress, di paura che, nei bambini piccoli, non arriva a essere consapevole. «Mamma», dice un bambino di pochi anni, «mi trema il culetto»: il piccolo non ha parole per esprimere uno stato emotivo, nel caso specifico una blanda paura di lasciare casa e andare all’asilo.
Contatto e affetto come cura
Nel caso di un bambino, una carezza o un massaggio sul pancino hanno però anche un’altra valenza: quella di rassicurare il bambino attraverso l’intervento affettuoso dell’adulto, che agisce a livello inconscio; così, quando sarà più grande, il mal di pancia prima dell’esame potrà attenuarsi se i genitori non caricheranno il figlio di troppe aspettative.
Un rapporto complesso
Anche episodi apparentemente “neutri” possono innescare un disturbo psicosomatico: per esempio, l’inizio o la ripresa del lavoro da parte della madre, l’ingresso all’asilo, la nascita di un fratellino. Insomma, i rapporti tra psiche e corpo sono complessi e lo diventano ancor più nel bambino che usa il proprio corpo per esprimere le sue richieste di aiuto, di attenzione e di sostegno.
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Di cosa hanno paura i bambini?
I genitori possono aiutare i bambini a gestire le paure seguendo alcuni consigli:
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- Le paure infantili sono più dinamiche e instabili di quelle degli adulti e quindi anche più facili da gestire. Qualunque sia il metodo che usate per aiutare vostro figlio a superarle, ci sono alcune “linee guida” da tenere sempre a mente. Ecco alcuni consigli della psicologa A. Oliverio Ferraris:
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- • Evitate le rassicurazioni eccessive: potreste convincere il bambino che c’è veramente qualcosa da temere
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• Se è di un oggetto, di un animale o di uno spazio che vostro figlio ha paura, avvicinatevi insieme lentamente e per tappe successive, in modo che possano essere superate più facilmente
• Per evitare di aggravarle ulteriormente, evitate di parlare troppo spesso davanti a lui di paure o fobie
• L’esempio è importante. Se è un insetto l’oggetto della paura, vederlo passeggiare sul braccio di mamma o papà senza causare disagio può portare a un cambiamento radicale; magari non subito ma di lì a qualche giorno. I bambini ripensano a ciò che hanno visto, soprattutto se ne sono rimasti colpiti
• Si può “far finta” di non avere paura e in questo modo affrontare insieme, giocando, l’oggetto della paura. Anche se questa strategia non funziona sempre, in alcuni casi può dare risultati sorprendenti
• Ai più grandicelli si può chiedere di trovare tutto ciò che viene associato in qualche modo alla paura (fotografie, frasi scritte, tracce…) e, se possibile, di fare una collezione, un album o un disegno sul tema.
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«È tutto mio!»
Quella del «tutto mio» è una fase di crescita in cui il bambino si relaziona con il mondo unicamente dal proprio punto di vista. Come rispondere?
Nascondigli improbabili, giochi strappati dalle mani, scene di disperazione: per questi comportamenti i bambini vengono spesso giudicati come piccoli “egoisti”, ma in realtà è in atto un importante processo di maturazione cognitiva e di costruzione della personalità.
Il bambino “egoista”
Lo studioso Jean Piaget, descrivendo il pensiero del bambino nei primi anni di vita, definì questo come il periodo dell’egocentrismo infantile. Si tratta di una fase di crescita in cui il bambino si relaziona con il mondo unicamente dal proprio punto di vista, senza essere capace di percepire la differenza tra la propria visuale e quella altrui.Come comportarsi?
Un bambino piccolo ha bisogno di sapere cos’è giusto e cosa sbagliato: piuttosto che fare paternali incomprensibili sull’egoismo, è importante aiutarlo a distinguere cosa appartiene a chi, indicandogli chiaramente cosa è suo, cosa di papà, della sorella, dell’asilo, e le regole di utilizzo.Difficoltà non sempre facili da superare
Questa fase di spiccata possessività, che si prolunga per qualche anno, a volte mette in difficoltà i genitori e gli educatori, soprattutto quando il bambino inizia a relazionarsi con altri bimbi e nascono i primi contrasti sull’utilizzo degli oggetti.
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Si possono conciliare vita sociale ed esigenze familiari?
Alcuni bisogni dei bambini hanno la priorità, ma con qualche accortezza possiamo farli coesistere con quelli degli adulti
I genitori di Alice non riescono a gestire serenamente le uscite familiari. Raccontano che, da quando è nata la bambina, le loro relazioni sociali si sono di fatto annullate, e sono concentrati unicamente sui bisogni della piccola, oppure sono troppo stanchi per poter uscire la sera. Ma deve per forza andare così?
Fuori casa con il bambino
Se il bambino ha pochi mesi cercheremo di fargli respirare aria salubre e di rispettare la sua routine, ma senza esagerare con l’istinto di protezione: uscire (anche col freddo!), passeggiare, viaggiare, organizzare un pranzo con amici sono attività senza controindicazioni, se vissute con piacere.
Bisogni che cambiano con l’età
Man mano che il bambino cresce, i suoi bisogni e la sua capacità di adattamento a situazioni diverse cambiano e a volte diventano difficili da riconoscere. La maggior parte dei cosiddetti capricci del bambino (urla, pianto, agitazione) sono, in realtà, la sua risposta a situazioni per lui inadeguate.
L’importanza di prendersi del tempo per sé
È altrettanto importante che i genitori imparino a separarsi dai figli, per dare spazio anche alla cura della propria persona, della coppia, delle relazioni con gli amici, il tutto senza la presenza costante dei bambini. Dedicando del tempo a noi stessi, diamo al piccolo anche un buon esempio per il suo futuro e gli insegniamo a rispettare le attività di tutti i membri della famiglia
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Sviluppo? Meglio non forzare i tempi
Ogni bambino conquista la posizione eretta e inizia a parlare secondo tempi propri e modalità soggettive
Quando un bambino compie i primi passi o pronuncia la prima parola, a mamma e papà si riempie il cuore di gioia e il pensiero comune è: «Finalmente! Ora so che va tutto bene». Ma se a 15 mesi ancora non cammina o a 2 anni non parla, iniziano le prime ansie e preoccupazioni…
Il giusto supporto
Nei suoi testi, Maria Montessori invita a sviluppare la pazienza e la fiducia nelle competenze dei bambini, che al momento opportuno si mostreranno al mondo capaci di parlare e camminare, e i genitori hanno la responsabilità di predisporre un ambiente facilitante, perché solo su un terreno fertile si può ben germogliare. Quindi, cosa occorre fare per aiutare i bambini a crescere?
Non forzare i tempi
Nessun traguardo non ancora conquistato dovrebbe essere imposto: un bimbo che in autonomia non sa raggiungere da supino la posizione seduta non è pronto a stare seduto e non dovrebbe essere lasciato solo in questa posizione; così come comunicherà all’adulto di essere pronto a stare in posizione eretta quando autonomamente saprà alzarsi da terra, da supino, e porsi in piedi. Non prima.
Progredire in autonomia
Ma cosa succede se l’adulto non resiste alla tentazione e si intromette in tale sviluppo? Un bambino che viene messo seduto o forzato a camminare prima del tempo, in qualche modo smarrisce la strada e viene privato delle esperienze che doveva spontaneamente compiere. Di conseguenza diventa irritabile, richiede costantemente la presenza dell’adulto, e non sa come progredire se non supportato e diretto.
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Con le minacce non si ottiene nulla di buono
Rivolgere delle minacce a un bambino non è mai una buona strategia
Fuori fa ancora caldo e la finestra del mio ambulatorio è semiaperta. Sento la voce disperata di una mamma che urla: «Se no ti porto dal dottore che ti fa la puntura!» e, a seguire, «E basta! Dammi la mano altrimenti sono botte…». Ovviamente intanto la bambina piange e strilla, cercando di divincolarsi dalla presa materna. Mi affaccio alla finestra e mi rendo conto che le urla provengono da una signora distinta che quasi trascina per mano una bambina di circa 3 anni, la quale, evidentemente, ha voglia di fare altro.
A quell’età, in genere, i genitori si aspetterebbero dai bambini un atteggiamento più maturo, per cui la cattiva condotta può assumere un significato spiazzante. Tuttavia, bisogna rendersi conto che i comportamenti e le parole degli adulti hanno una grande influenza sui comportamenti dei bambini e contribuiscono a dare loro un modello a cui ispirarsi in situazioni simili, per risolvere conflitti ricorrenti. Ad esempio, il bambino imparerà che, quando il suo amichetto non vuole fare quella cosa, lui potrà averla vinta usando la legge del più forte.
Se per ottenere un “sì” dal vostro bambino fate spesso ricorso alle minacce («fai così, altrimenti…»), il consiglio è di fermarvi e riflettere. A quell’età i bambini pensano davvero che possa succedere loro qualcosa di “brutto” e possono sviluppare paure difficili da gestire… Se impariamo a dare ascolto ai bisogni dei nostri bambini, a dir loro sempre la verità, a dare spiegazioni sul perché fare o non fare una certa azione, non avremo mai bisogno di ricorrere alle minacce.
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Un passo dopo l’altro
La crescita avviene con tempi diversi per ogni bambino, conoscerli permette di evitare preoccupazioni superflue e individuare eventuali problemi
Quando spunteranno i primi dentini? E quando cadranno? Cosa sono e come funzionano i percentili di crescita? Come e quando si sviluppano le capacità di linguaggio? Cosa comporta crescere in un ambiente bilingue? La crescita e lo sviluppo del bambino sono fasi nelle quali i genitori si pongono domande e cercano risposte ai propri dubbi.
Le tappe della crescita
Sebbene esistano indicazioni di massima sulle tappe fondamentali di crescita (dentizione, aumento di statura e peso) e sullo sviluppo delle competenze psicomotorie (vista e udito, acquisizione delle capacità di linguaggio, maturazione delle abilità motorie), si tratta di valori medi che possono variare anche molto da bambino a bambino.
Cosa c’è da sapere
È importante conoscere le indicazioni fondamentali che permettono al genitore di seguire la crescita del proprio bambino. Come? Avendo a disposizione le informazioni necessarie per poter valutare eventuali problemi e capire quando è il caso di rivolgersi al proprio pediatra, in modo da evitare preoccupazioni superflue.
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“Te lo prometto!”
Promesse che mirano a condizionare il comportamento del bambino sono educativamente rischiose
Cosa accade quando diciamo: «Te lo prometto»? Che valore ha la promessa di un adulto? E quella di un bambino? Insegnare a un bambino il valore di una promessa può avere grande importanza educativa per la costruzione dell’identità personale, la relazione con l’altro e la proiezione di sé stessi nel futuro.
Le promesse dei genitori…
Le promesse fatte a un bambino possono assumere significati diversi, a seconda del contesto e dell’intenzione con cui vengono pronunciate: se alcune nascondono un grande valore educativo, infatti, altre andrebbero evitate perché rischiano di intaccare il legame di fiducia e la credibilità del genitore agli occhi del bambino.
…e quelle dei bambini
Il bambino che dice: «Te lo prometto, non lo faccio più», vorrebbe sinceramente assecondare la richiesta del genitore anche quando non la capisce, perché desidera che mamma e papà siano contenti di lui, vuole sentirsi amato. Non potrà però smettere di essere un bambino, e chiedergli l’impossibile significa farlo sentire inadeguato e in colpa.
Fare del proprio meglio
Possiamo far sì che i bambini imparino a gestire piccoli impegni personali, e piuttosto che dire «promettimi di non fare il monello», chiediamogli di impegnarsi a fare o non fare una determinata azione, in un arco di tempo preciso, provando a spiegargli il perché
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Il primo ingresso in società: l’asilo nido
L’ingresso al nido è il primo evento di una lunga serie di distacchi dal luogo sicuro della famiglia e la prima volta in cui il bambino entra in una situazione sociale.
Bambino tra i bambini, in una condizione di parità, dove l’adulto non ha più la funzione genitoriale, dove tutti gli affetti sono da costruire ex novo.
Il giusto supporto
Il tumulto emotivo del bambino di fronte a un evento così sconosciuto e potenzialmente minaccioso può essere placato soltanto da due elementi. Da un lato, la calma e la tranquillità dell’adulto che lo accompagna, il quale non manifesta fretta di andarsene e di lasciarlo lì, ma, al contrario, si mostra desideroso di scoprire, conoscere e condividere con lui gli spazi e gli abitanti di quel luogo. Dall’altro, il sentire che l’adulto non sottovaluta e non sminuisce i suoi timori, ma lo conforta e lo incoraggia.
Una presenza empatica
Indicare a un bambino la strada significa percorrerla insieme e fare i conti con i propri timori di adulto, per non essere un ostacolo per il bambino. È necessario capire anche quello che le sue parole non dicono, ma il suo viso, il suo corpo e il suo comportamento sanno esprimere. La serenità dell’adulto è qualcosa che il bambino respira a pieni polmoni e per lui è l’equivalente di una forza tranquillizzante che permette di aprire, senza timori, qualsiasi porta.
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So quel che voglio… aiutami a realizzarlo
Un “bravo bambino” non deve essere d’accordo con il pensiero dei genitori, ma ha comunque bisogno del loro supporto
Ascoltare ed essere ascoltati
Un bambino “ascoltato”, accolto nella sua unicità e quindi anche nella discordanza e nel confronto fra la sua volontà e quella dei genitori, imparerà più facilmente a esprimersi con calma e naturalezza, perché sarà certo che la sua parola verrà ascoltata. E anche se la sua opinione non modificherà lo stato delle cose, imparerà un altro aspetto fondamentale della comunicazione fra persone: l’obiettivo non è avere ragione a tutti i costi, ma ascoltare ed essere ascoltati.
Libertà di scegliere
L’intervento dell’adulto nella vita del bambino deve decrescere parallelamente alla conquista di competenze da parte del piccolo. La libertà di scelta, però, non deve essere un obbligo, ma un diritto. Quando un bambino è stanco, piange, ha molta fame, si sente solo, si è fatto male o è molto arrabbiato ha solo bisogno che vengano soddisfatti i suoi bisogni primari. In questi casi necessita di una guida forte e rassicurante.
La conseguenza delle scelte
Le scelte sono assunzioni di responsabilità; anche per i bambini. Dalle scelte non sempre si può tornare indietro. Con i bambini piccoli la possibilità di “tornare indietro” dopo una scelta dovrebbe essere esclusa, in modo da consolidare il funzionamento scelta/conseguenza.
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Mi piaci così come sei
Le reazioni dei genitori ai comportamenti del bambino sono alla base della costruzione di un’immagine di sé positiva e armonica
A partire dalla nascita in avanti, la scoperta delle differenze fra il bambino immaginato e quello reale mette il genitore di fronte alle proprie emozioni nei confronti del figlio: si accorge che può sentirsi irritato dal suo modo di piangere, deluso per la sua scarsa reattività, scontento perché non cresce abbastanza.
Come comportarsi?
Le reazioni verbali e non verbali comunicano al bambino due cose fondamentali: ecco come ti vedo, ecco cosa ti chiedo per essere contento di te. Gli adulti hanno la responsabilità di gestire con attenzione questi messaggi, e di ricordare che tutto ciò che dicono e fanno si trasforma in una richiesta per il bambino. Se gli segnaliamo che il suo comportamento non ci piace, cosa gli stiamo chiedendo di fare? Di cambiare comportamento o di non essere come invece è?
Guidarli non significa volerli cambiare
Un bambino che per avere l’approvazione dei genitori si sforza di essere come loro desiderano che sia, perde sicurezza in sé stesso, e potrà avere difficoltà nel costruire un’immagine di sé positiva e armonica. Il compito dei genitori è certamente quello di guidare i bambini nella loro crescita; guidarli, però, non significa volerli cambiare.
Il compito educativo del genitore
Il grande compito educativo è quello di rendere i nostri figli capaci di migliorarsi: per farlo, hanno bisogno di una base sicura, che nasce dal vedere negli occhi dei genitori accettazione e non rimprovero o delusione.
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Bambini liberi di esprimersi
Le idee degli adulti non dovrebbero essere percepite quali uniche vie possibili, in modo da stimolare fin da piccoli la libertà di pensiero
Sia chiaro: educare alla libertà di pensiero non significa scaricare sul bambino responsabilità che non gli competono. La differenza è sottile, ma fondamentale. Se chiediamo a un bambino di 3 anni cosa desideri indossare per uscire, non gli stiamo concedendo libertà; al contrario, lo stiamo sovraccaricando di responsabilità. Lasciare che il bambino opti per la maglia a righe o a tinta unita, invece, significa offrirgli un’occasione di “sana” libertà.
A essere empatici si impara da bambini
Ciò che preoccupa la mamma forse non preoccupa il bambino, ciò che diverte il papà può non interessare il piccolo. Allo stesso modo, un accadimento spaventoso per il bambino non genera le stesse emozioni nei genitori. Educare all’empatia significa dare al bambino occasioni per leggere sia le emozioni proprie sia quelle altrui, e ad essere empatici si impara da bambini.
Il diritto a esprimere le proprie emozioni
«Non piangere»; «Non preoccuparti»; «Non essere triste»; «Sii contento»; «Fai un sorriso» sono frasi comuni che, dal punto di vista dell’adulto educante, nascono con l’intento di incoraggiare, aiutare, sostenere. Ma spesso il proprio sentire emotivo non è gestibile a comando ed è un diritto del bambino provare e manifestare le emozioni che sente anche quando l’adulto che gli è accanto le ritiene incomprensibili o diverse dalle proprie.
Il parere di mamma e papà
«E ciò che penso io non vale nulla?», potrebbe lecitamente chiedersi un genitore. Certo che vale! Il genitore ha il diritto e il dovere di esprimere il proprio parere e manifestare il proprio sentire esattamente come il bambino, offrendo il proprio punto di vista con umiltà e pazienza: a volte il bambino troverà risposta ai suoi interrogativi nel modello genitoriale, altre volte no
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Scoprire il mondo senza paura
Le esperienze compiute autonomamente sono fondamentali per l’acquisizione delle abilità motorie e il rafforzamento della fiducia in sé stessi
Guardando i bambini della scuola primaria non è raro chiedersi: perché vanno a sbattere contro ogni cosa? Perché non calcolano le distanze? Perché faticano a copiare dalla lavagna? Dove nascono le difficoltà di gestione dello spazio e del coordinamento, in particolare quello oculo-manuale?
Un problema diffuso
La risposta sta nelle scelte educative che si fanno tra 0 e 6 anni. I bambini vivono tra televisione, divano e frigorifero e quando fanno sport, lo fanno molto spesso in ambienti chiusi. I loro occhi hanno poca familiarità con l’orizzonte, con profondità e distanze.
Meno divano, più aria aperta
In che modo allora il movimento, e in particolare quello all’aria aperta, permette al bambino di acquisire alcune competenze trasversali che gli consentiranno di sedersi a 6 anni al banco di scuola, ed essere pronto a imparare? La risposta si costruisce attraverso molte attività: prima fra tutte, in ordine temporale sulla linea della crescita, la scoperta dell’ambiente e il potenziamento delle proprie abilità fisiche, intellettuali e sociali attraverso il movimento autonomo e libero.
Il ruolo dell’adulto
Gli adulti, in questa fase, vivono nel terrore che si faccia male, ma il miglior modo per evitarlo è permettergli di provare a fare le cose, e se cadrà, permettergli di rialzarsi da solo. Questo gli consentirà di imparare a conoscere l’ambiente, così come guardare dove mette i piedi gli sarà utile per imparare a coordinarsi in autonomia
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Qui abita un bambino
Organizzare spazi e materiali che rispettino i bisogni di tutti: dalla cucina alla cameretta, dall’ingresso al giardino!
Com’è possibile favorire l’autonomia in casa, con un occhio anche alla sicurezza? Bisogna privilegiare le regole o la libertà? E quando si deve uscire di casa e i bambini impiegano moltissimo tempo per indossare le scarpe?
Sono alcune delle domande a cui risponde, in questo libro, la pedagogista Annalisa Perino, forte dell’esperienza come mamma, maestra e formatrice montessoriana.
Il metodo Montessori in casa
Dalla cucina alla cameretta, dall’ingresso al giardino, l’autrice esplora gli ambienti domestici e propone soluzioni pratiche per organizzare spazi e materiali che rispettino i bisogni di tutti, adulti e bambini.
Il manuale è disponibile sulla nostra edicola al prezzo di 25 Euro e con spedizione gratuita. Acquista la tua copia entro le 12:00 per riceverla domani!
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Attività Montessori in casa con oggetti di uso quotidiano
Una selezioni di attività per favorire l’autonomia del bambino, con oggetti di uso quotidiano
Sono giorni difficili in cui, volenti o nolenti, i bambini devono rimanere a casa, e magari si annoiano anche un po’… quali attività si possono organizzare a casa per i propri bambini desiderosi di fare? Quali opportunità educative possiamo cogliere anche all’interno di questo contesto così insolito?
Intenti positivi… esiti disastrosi!
La maggior parte delle volte i bambini agiscono sulla base di un intento positivo, vogliono fare qualcosa di buono e costruttivo, non cercano di “fare un pasticcio”, ma spesso, purtroppo, sbagliano modalità, luogo, momento, e quella che nelle intenzioni voleva essere una buona azione si trasforma, agli occhi dell’adulto, in un “disastro”.
Il desiderio di “fare”
Come gestire allora il loro desiderio di “fare” in accordo con lo spazio domestico, gli impegni familiari, i diversificati bisogni di tutti i membri della famiglia? Adattando lo spazio e definendo regole di comportamento chiare e semplici, che possano indicare al bambino lo spazio d’azione e i limiti invalicabili. Ne abbiamo raccolte diverse per ogni ambiente della casa, nel nostro libro Qui abita un bambino. Acquistalo con spedizione gratuita in 48h.